#venezia79 Emanuele Crialese ritorna dopo ben 11 anni direttamente alla Mostra del cinema ma purtroppo con il suo film peggiore. Era un bel film Respiro, ci era piaciuto molto Nuovomondo e abbastanza Terraferma ma L’ immensità, spiace dirlo, è un brutto film. Per nulla interessante, ha il pregio di durare poco piu di 90 minuti in mezzo a pellicole tra le due e le tre ore ma basterebbe una mezz’oretta per quel che racconta.
Penelope Cruz è la madre insoddisfatta di tre figli in una storiella borghese anni ’70: niente di nuovo sotto il sole nell’ennesimo racconto di diversità visto al festival (ad esempio il buon The whale) qui rappresentata dalla ragazzina che si sente maschio e si innamora della zingarella Sara che probabilmente non si accorge nemmeno che “Andrea” é in realtà Adriana.
Nessuno degli attori recita bene e se per Vincenzo Amato è una consuetudine (non guardatelo nell’ultimo film di Cristina Comencini, Tornare) per la Cruz, che recita in italiano, è un’eccezione e anche un grande spreco. Nonostante abbia una splendida moglie il marito non la rende felice e la donna quando piange si trucca per nasconderlo; probabilmente c’è di più, un tradimento, ma non si sa se c’è e soprattutto non si sa perché.
Il brodino riscaldato è allungato da facili metafore, soliti stereotipi e scene “visionarie” musicate con canzonette italiane. Ascoltiamo ben tre volte Rumore di Raffaella Carrà (è in corso il processo di santificazione) e due volte la versione italianizzata di Love story, in una delle quali ci tocca persino vedere Penelope nelle fattezze di Patty Pravo. Pensavamo fosse amore invece è un film che si dimentica in venti minuti. Peccato.
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