Italian cinema Recensione

Adagio di Stefano Sollima non convince nonostante il cast (trama,foto, trailer, recensione)

In sala dal 14 dicembre, dopo il concorso al lido di Venezia, arriva Adagio, film che conclude un’ideale trilogia di una Roma criminale raccontata dal regista Stefano Sollima con i precedenti ACAB e Suburra, che sono poi gli unici suoi film girati in Italia.

Nonostante il mezzo fiasco made in USA di Senza rimorso, Stefano Sollima è un grande regista che ci ha regalato una delle migliori serie italiane (e forse non solo) di sempre, ovvero Romanzo criminale e che ha girato negli USA Soldado, seguito di Sicario, firmato da quel Denis Villenevue che darà poi un seguito a Blade runner e riproporrà Dune. Come seconda cosa abbiamo un cast con una giovane eccellente promessa (Gianmarco Franchini) basato su quattro pilastri della nostra cinematografia: Toni Servillo, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastrandrea e Adriano Giannini (tutti bravi ma in generale il punultimo sopravvalutato e l’ultimo sottovalutato). Ci si aspettava, è il caso per una volta di usare un’espressione volgare ma calzante, un film “coi controcazzi”. Purtroppo non è stato così. Molto lungo, troppo, e pieno di stereotipi e luoghi comuni…tra cui quel cubo di Rubik risolto all’inizio che finisce per farci assistere ad una “citazione” – ma in realtà una scopiazziatura – del Kaiser Soze di Bryan Singer con tanto di inquadratura insistita sul piede che riprende a camminare in modo diverso… No, così non si può. Ma la maggioranza della “Critica” rimane muta su questo.

Manuel, un ragazzo di sedici anni, cerca di godersi la vita come può mentre si prende cura dell’anziano padre. Vittima di un ricatto, va ad una festa per scattare delle foto ad un misterioso individuo ma, sentendosi raggirato, decide di scappare. Si ritrova così inseguito dai ricattatori che si rivelano essere estremamente pericolosi e determinati ad eliminare quello che ritengono uno scomodo testimone. Manuel capisce di essere invischiato in qualcosa che è più grande di lui e sarà costretto a chiedere protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre.

Il contorno della storia è poi costruito visivamente da questi black-out e incendi pretestuosi (e diciamolo, anche inutili quando la pioggia di Suburra almeno era efficace) e da un buon tappeto sonoro dei Subsonica, mentre nel finale ci si approfitta dell’appeal del grande classico romano di Franco CalifanoTutto il resto è noia“. Sul sonoro, purtroppo come spesso accade, c’è il grave problema di qualche battuta quasi inudibile. Perchè puntare (quasi) tutto sul cast e andare sul set con una sceneggiatura che colma i buchi con i fori di proiettile? Là dove avevamo (in Suburra) Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini qui abbiamo due grandi Stefano sì, Sollima e Bises, che però non hanno praticamente mai scritto un film! Perchè per essere oggettivi di fronte all’inadeguatezza di forme e risultati Stefano Bises ha scritto migliaia di serie e due film e Stefano Sollima ha riscritto la serie tratta da Roberto Saviano ZeroZeroZero e i suoi cortometraggi ad inizio carriera. Adagio, a 57 anni compiuti, è in assoluto il primo film che scrive. Se voleva “svezzarsi”, con tutto rispetto e molta ironia, faceva meglio a telefonare a Rulli, Petraglia o a qualunque sceneggiatore di cinema avesse in rubrica per farsi aiutare sul racconto di due ore.

A questo prezzo meglio rivedersi un thriller poliziesco che ci è piaciuto molto o un qualsiasi 007 dove tutti sparano a James Bond a quattro metri di distanza senza colpirlo ma almeno, da spettatori, non ci viene chiesto di cercare significati reconditi e sottotesti presuntuosi. Che poi, il romano del semi-centro o il triestino-calabro quando si esprimono su un film del genere ti dicono senza entusiasmo che gli è piaciuto semplicemente per non farti sapere che hanno perso tempo e soldi quando sarebbero stati meglio sul divano di casa con Die Hard 8, per quelli più “introspettivi” (per questo si intitola Adagio) una roba tipo I soliti sospetti (appunto).

SPOILER :

Questo ennesimo thriller poliziesco su una Roma “sotterranea” – periferica o centrale che sia – non ci ha molto convinti, si è capito; non per stanchezza ma per credibilità e questioni di sceneggiatura. La domanda scatenante è: perchè il personaggio di Valerio Mastandrea, soprannominato Pol Niuman, (sic) nonostante i grossi attriti che hanno tra loro questi ex appartenenti alla Banda della Magliana (ma di quale generazione dato che hanno 50 anni ai giorni nostri?) manda il ragazzo proprio dal Cammello (Pierfrancesco Favino)? Se entrambi non si parlano e non si possono più soffrire non aveva un amico o qualcuno di meglio? Questo dubbio sta alla base del plot ma non è il solo. La storia parte dal ricatto per la vergogna di una fellatio… non veniva in mente proprio nient’altro per motivare il personaggio? Perchè poi Daytona/Toni Servillo va a minacciare la polizia, crede davvero di far paura alle autorità e di non avere ritorsioni? Difatti non la scampa…Perchè Favino/Il Cammello dice al giovane Manuel di andarsene, sparire, non farsi più vedere e dopo qualche scena li ritroviamo di nuovo insieme sull’auto? Perchè Manuel alla fine, dopo una scena alla Gli Intoccabili de noantri non scappa terrorizzato saltando sulla metro ma quasi rischia di farsi sparare? Perchè sui titoli di coda dobbiamo vedere le foto da giovani amichetti di questi avanzi di galera assolutamente spregevoli come a doverci dispiacere per questa fratellanza spezzata? Insomma, la sceneggiatura è poco credibile (la scena in discoteca con telecamere che riprendono ovunque, davvero implausibile) al punto che per somma di cose ogni dettaglio stonato finisce per dare un po’ fastidio: come fanno nel finale i due a vedersi dalla finestra? Al buio, giusto giusto, la donna alza la testa e riesce a distinguere Manuel anche se non l’ha mai visto in faccia con chiarezza…e perchè lui dovrebbe regalare le sue inseparabili cuffie all’altro ragazzo? Sappiamo come funziona una sceneggiatura ma quando ogni gesto è troppo forzato l’effetto simbolico o narrativo che si vorrebbe dare non funziona. Troppi inceppi durante la visione per essere un film che lasci soddisfatto un certo tipo di pubblico. Anche troppo caricaturale, con testate e pestaggi che dovrebbero spezzare ossa e lasciare tramortiti e invece, vittima dell’inverosimilianza hollywodiana, Sollima permette che si fracassino con la testa maioliche cementate sui muri come fosse polistirolo. Probabilmente è vero che, come il mediocre ultimo film di David Fincher in concorso anch’esso a Venezia, ad un produttore di oggi basta una formula. Fincher + Sceneggiatore di Se7en + Star = OK facciamolo, direttamente proporzionale a Sollima che ci rifà la Roma criminale con Favino e Servillo insieme e chi se ne frega della storia. Ma a noi, pubblico indottrinato del 2023, la storia con la sua originalità e credibilità interessa ancora moltissimo.

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