Festival e Premi Italian cinema Recensione

Finalmente l’alba: la recensione del film di Saverio Costanzo in concorso a Venezia 80

#Venezia80 Partiamo col dire che il titolo è la cosa peggiore del film. Ci sarebbero stati vari titoli più adatti per racchiudere il concept di questa storia, scritta da Saverio Costanzo (classe 1975) e dedicata al padre recentemente scomparso. Non solo non è azzeccato ma ci anticipa che la trama a cui stiamo assistendo si svolgerà nell’arco di una giornata (con l’incipit la sera prima) e in particolare dal tramonto alla mattina. Un titolo un po’ ingenuo per un film che, nel senso migliore possibile, sembra scritto da un ragazzino che vuole fare il cinema; appare come un capriccio, la passione embrionale per la celluloide che va a pescare alle radici neorealiste del cinema italiano, unendo suggestioni da Luchino Visconti (Bellissima), Federico Fellini (Le notti di Cabiria), Michelangelo Antonioni (La notte) e non solo. Si comincia infatti con un oscuro bianco e nero di un film nel film (ma anche quando diventa a colori la fotografia è molto buia) nel quale Alba Rohrwacher (compagna del regista) è chiamata ad interpretare Alida Valli senza assomigliarle per nulla (foto sotto). Allo spettacolo assistono una madre con due figlie (Iris e Mimosa), che parteciperanno al provino per un peplum americano girato a Cinecittà: sono i tempi della Hollywood sul Tevere e presto si scoprirà che, precisamente, siamo nell’aprile del 1953 (anno successivo all’uscita di Umberto D., nel quale tramontò definitivamente il Neorealismo), dato il riferimento storico all’omicidio di Capocotta, in cui perse la vita Wilma Montesi, tragedia che aleggia su tutti i fatti narrati.

Leggi la recensione di Comandante con Pierfrancesco Favino in concorso a Venezia 80

Costanzo torna in concorso all’80esima Mostra del Cinema di Venezia con il suo quinto film a 9 anni di distanza da Hungry Hearts (che regalò la Coppa Volpi ad entrambi i suoi protagonisti) e la felice parentesi televisiva della serie di successo L’amica geniale. Per farlo ci racconta la perdita dell’innocenza della timida e ingenua Mimosa, interpretata da Rebecca Antonaci, 19 anni, al suo debutto da protagonista. Come a volte accade, la giovane accompagna la sorella ad un provino per un film in costume ma viene scelta suo malgrado. La ragazza viene notata addirittura dalla star americana protagonista (Lily James) che la vuole accanto a lei per girare una lunga scena. Qui ha la possibilità di vedere da vicino il suo idolo, Sean Lockwood, interpretato dal Joe Keery di Stranger things. In realtà la diva capricciosa Josephine Esperanto la utilizza come un giocattolo, una bambola a cui far indossare il suo stesso vestito.

Da qui le due giovani saranno inseparabili e Mimosa per un motivo o per l’altro ma soprattutto per la sua voglia di evadere e sognare, non riuscirà a tornare a casa dai genitori. Per la star questa ragazzina incantata dal cinema è un conduttore di emozione che per ingenuità, confusione ed eccitazione non si rende conto di essere strumentalizzata, in parte anche da Lockwood, che ha una relazione velata con la stessa Esperanto. Tutto ciò produce un effetto straniante per l’intera durata del film, raccontandoci anche l’illusione esercitata dall’arte e la finzione (anche burla) che il mondo del cinema rappresenta per un semplicespettatore. Molta carne al fuoco e durata eccessiva (due ore e venti minuti, in questa sorta di Fuori orario di scorsesiano ricordo), il condizionamento, la suggestione e le tante emozioni veicolati attraverso lo sguardo della protagonista, paura compresa. Non facile gestire il tutto, molta critica infatti non ha gradito o non ha saputo apprezzare. Piacerà di certo molto di più a chi ama il metacinema, anche se troppi finali disorientano (il regista si appropria anche di una poesia di Cesare Pavese senza svelarcelo) e l’ultimo, decisamente surreale, è troppo azzardato (oltre che mal realizzato dalla computer grafica, già nella scelta di avvalersene). Vi lasciamo con la poesia di Pavese, Passerò per piazza di Spagna, che si ascolta appunto nella parte finale del film:

Sarà un cielo chiaro.
S’apriranno le strade
sul colle di pini e di pietra.
Il tumulto delle strade
non muterà quell’aria ferma.
I fiori spruzzati
di colori alle fontane
occhieggeranno come donne
divertite. Le scale
le terrazze le rondini
canteranno nel sole.
S’aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando
come l’acqua nelle fontane
sarà questa la voce
che salirà le tue scale.
Le finestre sapranno
l’odore della pietra e dell’aria
mattutina. S’aprirà una porta.
Il tumulto delle strade
sarà il tumulto del cuore
nella luce smarrita.
Sarai tu – ferma e chiara.

Leggi la recensione di The penitent

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