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Come smontare “Perfect days” di Wim Wenders in poche parole (a favore di “Io capitano”)

” Per alcune ore vago per la città cercando di ricordarmi chi aveva parlato bene di questo film”

Ogni tanto nella vita mi capita di immedesimarmi in qualche idea portata sullo schermo da Nanni Moretti…ieri è stata la volta della scena di Caro Diario nella quale “tortura” il critico dopo essersi domandato: “chi scrive queste cose non è che la sera, prima di addormentarsi, ha un momento di rimorso?”

In questo caso vale per tutti quelli che hanno parlato e scritto bene di Perfect Days, una ruffianata di un realismo fasullo, in verità studiata e furba, infarcita di capolavori della musica per riempire la vacuità e l’inconsistenza.

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SPOILER:

Wim Wenders programma tutto e cerca di spacciarcelo per cinema veritè ma con un titolo e un formato ( 4/3 ) accattivante e pretestuoso:

  • 7 minuti prima di arrivare al lavoro
  • 10 minuti per pronunciare le prime parole
  • A 20 minuti esatti torna a casa
  • A 30 minuti inizia il secondo “giorno perfetto”
  • A 45 inizia il terzo giorno
  • Esattamente dopo un’ora c’è il midpoint (segnato dallo scoccare di “Perfect day” di Lou Reed che divide il film in due), che sarebbe quel bacio immotivato, unico gesto d’amore ricevuto in mezzo a persone che non lo calcolano in modo enfatizzato e volutamente irritante (il tizio che calcia il cartello per sbaglio e non si gira, persino la madre a cui riporta il figlio, non solo non lo ringrazia…nemmeno lo degna di uno sguardo!)
  • Ad 1 h e 15′ di film (forse un po’ tardi?) entra in scena la nipote Niko per permettere due frasi di esistenzialismo buttato lì (“io in che mondo mi trovo?” recitata pure male e “La prossima volta è la prossima volta, adesso è adesso”…stucchevole)
  • Dopo 90 minuti esatti la madre viene a riprendersela e chiede “ma davvero pulisci i bagni?“. Lo stereotipo dello stereotipo, non ci volevo credere.

Il film ha diverse cose prevedibili, implausibili, irrealistiche, inutili e nemmeno divertenti come il gioco a tris, i personaggi stravaganti osservati, la nipote che lo aiuta a pulire e i 75 euro per una musicassetta di 50 anni fa (con Ebay o Vinted dobbiamo credere davvero che un negoziante la rivenda a più di 12mila yen?).

Wenders che paga centinaia di migliaia di euro di diritti musicali per il suo filmetto in cui vorrebbe essere Yasujirō Ozu non si calerebbe nemmeno 8 ore nei panni del suo personaggio, un Marco Columbro giapponese che beve caffè in lattina e, incredibile, ama ancora leggere e ascoltare ottima musica anche se non sa che cos’è Spotify. Ma Wim una hit giapponese giustamente ce la infila…per sorprenderci! (Farci conoscere qualche perla disconosciuta così da farci scoprire qualcosa di nuovo?)

Le tematiche spiattellate e didascaliche:

– il solito tema uomo/natura (la ama al punto che non si infila il cappuccio sotto il diluvio)

– il paragone tra analogico e digitale… (esposto in modo imbarazzante)

– i timidi omaggi al neorealismo

E che dire degli inframezzi “artistici” in B/N che dovrebbero rappresentare i sogni ma non aggiungono assolutamente nulla?

  • Per completare la scaletta una “jazzata” negli ultimi minuti: un finale patetico con il personaggio malato terminale e la regressione infantile, con lui che ride e piange insieme ascoltando un pezzo che dice “E’ una nuova alba / E’ un nuovo giorno (…) e mi sento bene“.

Ora, posso capire cosa possa essere piaciuto (forse moltissimo ai veri boomer) ma quanti film simili a questo ma molto più onesti, poetici ed emozionanti si sono visti? 100?

Questo è un parere invece più arbitrario:

Il protagonista ama gli alberi ma dalla regia ci dicono che non va a trovare il padre in fin di vita. Non ne sappiamo i motivi ma dato che la sorella evita di parlare di lui con sua figlia e pare una donna borghese (che disprezza il suo stile di vita), ci viene forse suggerito che il personaggio di Kōji Yakusho (100 film all’attivo, in pratica un premio “alla carriera” attribuitogli dalla giuria di Cannes anche per mancanza di altre interpretazioni maschili) è come quei punkabbestia che vogliono fare gli Hippy anche se hanno i soldoni di famiglia. Un po’ come Wim Wenders che vorrebbe essere un asceta ma è un capitalista che ha cominciato a fare film ad Hollywood una vita fà, da 30 anni non ne azzecca uno e ha successo (proprio) esclusivamente coi documentari. Rispetto al racconto straordinario e mai visto di Io capitano non c’è paragone. Il 78enne Wenders – come il carissimo Dario Argento, vero maestro – ormai non meriterebbe l’Oscar nemmeno alla carriera nonostante film come Paris, Texas e il magnifico Alice nelle città; ma sarei felice se glielo dessero (di più ancora ad Argento!). Non per questo film.

…Che se avesse la firma di un cineasta sconosciuto non si sarebbe filato nessuno.

D.M.

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