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La zona d’interesse: regista e interprete spiegano la scena finale

Quest’anno tra i film candidati all’Oscar troviamo: gli americani che hanno massacrato i nativi in Killers of the flowers moon, sempre gli americani che hanno polverizzato i giapponesi con la bomba H in Oppenheimer e i tedeschi che hanno sterminato gli ebrei in La zona d’interesse. Insomma, il premio andrà molto probabilmente a un film realizzato per lavare la coscienza…proprio un bel quadretto dell’umanità mentre si sta consumando il genocidio di Gaza.

La zona d’interesse (The zone of interest) è senza dubbio un grande film perchè ci ricorda che ancora oggi noi tutti guardiamo dall’altra parte rispetto alla guerra, la tragedia, la morte, il genocidio…non vogliamo guardare ciò che ci fa orrore e sentendo un senso d’ impotenza diventiamo ciechi…forse facciamo finta di non vedere, di non sapere, di non credere alla verità, persino, a volte.

Come smontare “La zona d’interesse” in poche parole (a favore di “Io capitano”)

Prima di scendere a curiosare sul finale, siate sinceri con voi stessi: vi ha conquistato di più lo spietato comandante o il giovane capitano? Nonostante La zona d’interesse sia già acclamato come un capolavoro moderno vogliamo però andare controcorrente e “giocare” sul fatto che anche in questo caso (vedi link qui sotto) Io capitano di Matteo Garrone è un film migliore, un’opera importante, un cinema più meritevole. Perchè?

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Inanzitutto Io capitano emoziona molto di più. E’ un film che spaventa, incuriosisce, sorprende e ci rende molto partecipi. La zona d’interesse è un apatico “grande fratello” in questa villa con piscina tedesca. Ci fa senz’altro riflettere, ci disturba, ma quasi esclusivamente col sonoro e con la nostra cultura e coscienza di quello che stava accadendo oltre il muro nel 1943. Nel film di Matteo Garrone al contrario scopriamo cose che non sapevamo, veniamo a conoscenza di particolari e dettagli sul viaggio dei migranti ed Io capitano è perciò un film che può davvero modificare la nostra cultura e la nostra coscienza. Nonostante quel che abbiamo detto all’inizio vogliamo contraddirci e affermare che Io capitano parla del presente e ci può dunque indurre a cambiare il futuro mentre La zona d’interesse parla di un’evento passato, nessuno potrà restituirci quelle vite spezzate, il tragico errore storico è stato ormai commesso mentre quello che succede nel continente africano è ancora oggi in divenire e non dovremmo voltarci dall’altra parte ma pensare che le cose si possano ancora cambiare. E non c’è un Adolf Hitler o una dittatura che ce lo impedisce. Quel che racconta La zona d’interesse più che essere ispirato dal libro omonimo del 2014 (davvero “in ritardo” rispetto ai fatti) è tratto ancor più dalle memorie del vero comandante del lager polacco Rudolf Höss (foto sopra). Perciò sono dovuti passare davvero 80 anni per raccontare come l’essere umano abbia lucidamente messo in atto la “soluzione finale” e nel concreto progettato i forni crematori, gli impianti e tutto il resto? Entrambi i film sono un controcampo ma il regista italiano ci racconta una realtà più recente che è ancora in corso: i morti in mare sono la triste realtà di tutti i giorni che l’autore ci chiede di non ignorare e per questo l’Oscar sarebbe più giusto, perchè necessario come richiamo all’attenzione mondiale; si sa che un film che vince l’Oscar viene visto da una moltitudine di spettatori in più. E Io capitano è un film caldo, pieno di ritmo mentre quello di Glazer è un film glaciale e per quanto agghiacciante e filmicamente notevole è lento e “noioso”, è la banalità del male (sono gli individui banalmente comuni a poter compiere il male) messa in atto e osservata senza drammatizzazione, in un film fatto di gesti e di situazioni quotidiane, volutamente distaccate con spaventosa indifferenza (se non per depredare oggetti di valore). Come mai tutto questo stupore? Potevamo davvero pensare – prima di vedere questo film – che i nazisti vivessero male i loro giorni e non dormissero la notte, tormentati dai sensi di colpa? La presunta genialità dello sguardo è in realtà la più scontata normalità dell’approccio ai personaggi. Volendo guardare Pier Paolo Pasolini ci aveva già detto tutto 50 anni fa e in modo superlativo e definitivo con l’indimenticabile (ma dimenticato) Salò o le 120 giornate di sodoma (foto sotto). Persino lo straordinario lavoro sul sonoro può essere sminuito: evocando per l’ennesima volta l’olocausto quale regista avrebbe mai mostrato nuovamente l’orrore? Dobbiamo perciò stupirci così tanto dello stile e del risultato del film di Glazer nella nostra esperienza di spettatori?

Ora però non odiateci dopo che con orgoglio patriottico vi abbiamo provocato col dire che l’Oscar sarebbe più meritato nelle mani del regista di Gomorra (quello sì un riconosciuto capolavoro moderno), che ha quasi 30 anni di carriera e 11 film alle spalle, rispetto a Jonathan Glazer, senz’altro un geniaccio del videoclip anni 90 (suo Karma Police e molti altri) ma che è solo al quarto film.

Ora possiamo passare alla spiegazione del finale.

IL FINALE DI THE ZONE OF INTEREST SPIEGATO DAGLI AUTORI

Nei momenti finali del film vediamo Rudolf Höss che rallenta la sua discesa sui gradini perchè non si sente bene: sembra dover vomitare, ha dei conati e sputa in terra. Cosa significa questa scena? Il regista Jonathan Glazer ha spiegato: ” Non è una presa di coscienza di Höß, non ne ha. Prova pietà per se stesso dopo la guerra ma la sua coscienza non è scossa. Le voci che sentiva sono morte da tempo. In quella scena vediamo la verità del corpo, che rivela le bugie della mente. Che rivela ciò che siamo, invece delle strutture che mettiamo su per creare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Il corpo non ha questo lusso. In quel momento vediamo una verità fisica. Quell’uomo che vomita non è un personaggio, è l’orrore reale. La cenere delle persone che ha aiutato a uccidere sono dentro di lui. È l’orrore.”

L’attore Christian Friedel sembra rafforzare questa interpretazione: “Penso che sia una lotta: il corpo contro la sua anima. Perché il corpo dice la verità, anche se nella nostra mente possiamo tradire noi stessi. Siamo maestri dell’autoinganno“. Abbiamo così spoilerato il significato ma non descritto il finale nè svelato un colpo di scena. Lo spoileriamo ora, perciò ATTENZIONE.

Subito dopo assistiamo ad una metafora visiva (nella foto dell’articolo): un corridoio illuminato al centro e buio da entrambi i lati. La luce è nel presente e il buio a destra e a sinistra rappresenta il passato e il futuro, nel quale vediamo Auschwitz diventato un museo. Il campo di sterminio viene mostrato nuovamente come un luogo di lavoro, nel quale si adopera un’impresa di pulizie. Il gerarca nazista non verrà mai premiato per il suo lavoro (per il quale voleva essere il migliore e anche il passato è nero) bensì impiccato all’età di 46 anni.

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